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EURISTICA
CURIOSITA' EDITORIALI FIRMATE IKEA
Indagine sulla «multinazionale dal volto svedese». Un marchio con una filosofia di vita: sobrietà, sicurezza, sociale, rispetto dell’ambiente.
Ma... nessuno è perfetto


di BRUNO GAMBAROTTA
da Tuttolibri, in edicola con la Stampa il 22 settembre

2ebcb7ba187ee48c16c27d78ee259ca5.jpgL’uomo primitivo, quando il figlio maschio raggiungeva la pubertà, lo portava per la prima volta con sé a caccia di animali feroci, per celebrare il rito di passaggio all'età adulta. Per noi della tribù degli ikeani, la prova di iniziazione consiste nel comprare un armadio Ikea per la cameretta del figlio, portarlo a casa a pezzi nelle scatole di cartone e montarlo insieme a lui.
Per me e per mio figlio Lorenzo quei tre giorni trascorsi a studiare le istruzioni, a darne ciascuno una diversa interpretazione, a constatare ogni volta che aveva ragione lui, a discutere sul modo migliore di assemblare i vari pezzi, hanno fatto maturare il nostro rapporto, cementando una solidarietà che negli anni non è più venuta meno. Al posto dell'arco e delle frecce impugnavamo la mitica «brugola», un ferro piegato a L con il quale si stringono le viti (dallo Zingarelli: «Vite con testa a incavo esagonale, dal nome del produttore Egidio Brugola, 1983»).
Apprendiamo dalla monografia Ikea in uscita da Lindau (pp. 128, e 12) che nel 1952 il dipendente Gillis Lundgren ha l'idea di smontare le gambe del tavolo appena comprato per introdurlo nell'auto, ideando il pacco piatto. «Meno spazi di stoccaggio, meno trasporti, più lavoro per il cliente, meno per Ikea».
Sta di fatto che Ikea non è solo un marchio, è una filosofia di vita della quale è parte integrante il montaggio del mobile da parte del cliente. Come anche il fatto che nelle scatole non si trovi mai una vite in più del numero strettamente necessario così che, se una vite va persa, bisogna risalire in macchina e andarsela a guadagnare all'apposito sportello.

Gli autori del libro - Olivier Bailly, Denis Lambert e Jean-Marc Caudron - danno involontariamente una spiegazione raccontando che il fondatore della «multinazionale dal volto svedese», Ingvar Kamprad è un leggendario spilorcio, un miliardario che non viaggia mai in prima classe, aspetta la fine del mercato per ottenere un po' di sconto sulle verdure e confronta i prezzi prima di comprare una cartolina. La città di Biella farebbe bene a dargli la cittadinanza onoraria.
IKEA è un acronimo composto dalle iniziali del fondatore più la E che sta per Elmtaryd, la cascina di famiglia e la A per Agunnaryd, il paese nel quale è cresciuto. Il libro è un bell'esempio di giornalismo investigativo; Bailly, Lambert e Caudron vogliono mostrarci il retro dell'arazzo sul quale è ricamato un idilliaco paesaggio nordico, luminoso, sorridente e rispettoso della natura.
In effetti il fascino della modello Ikea poggia sull'immagine che noi abbiamo dei Paesi scandinavi: sobrietà, correttezza, rispetto dell'ambiente, sicurezza sociale. Senza addentrarci nei meandri delle minuziose indagini svolte dai tre autori possiamo dire in sintesi che ogni volta che l'Ikea è stata sorpresa con le mani nella marmellata, sulla deforestazione, il lavoro minorile e lo sfruttamento dei lavoratori asiatici, l'impiego di materiali pericolosi per la salute come la formaldeide o per l'ambiente come il PVC negli imballaggi, ha reagito prontamente riconoscendo le sue colpe, promettendo di non farlo più e adeguandosi agli standard richiesti.
Si ricava la lezione di quanto sia importante e decisiva l'azione di denuncia argomentata di organizzazioni come Greenpeace, Unicef, Wwf, che, dopo averla incalzata, sono diventate partner dell'Ikea per interventi mirati. Come conseguenza dal 2004 il lavoro minorile è proscritto dalla stragrande maggioranza dei fornitori (il 18% dei prodotti Ikea sono fabbricati in Cina, il 30% in Asia). Magari i governi reagissero con la prontezza delle multinazionali.
Anche se si tratta di argomenti pesanti la scrittura è scorrevole e briosa e gli autori non perdono l'occasione di scherzare. Così l'indice del libro è fornito a pezzi con le istruzioni per l'uso: «Staccate le frasi, posizionatele nell'ordine, fate precedere ogni frase dalla parola “capitolo”». O l'attacco dell'introduzione: «Un bambino europeo su dieci è stato concepito in un letto Ikea. Non è un'informazione verificabile, ma è quello che si racconta. Le voci in questione non rivelano se il letto in questione fosse già stato acquistato o se si trovasse ancora nello show room». Gli autori insistono molto accusando Ikea di avere «espulso il mobile dal patrimonio famigliare per trasformarlo in prodotto di consumo». Su questo aspetto ci permettiamo di dissentire: una giovane coppia che mette su casa inizia una nuova storia, i mobili di famiglia sono impregnati di ricordi; se la nostra società ha un difetto è quello di essere gravata da un passato che ne frena gli slanci.
E' indubitabile l'attrazione esercitata dai magazzini Ikea: prima di avviarci prendiamo ancora una volta le misure delle nostre stanze, disegnando una piantina che sarà preziosa al momento della scelta. Una volta arrivati depositiamo i bambini nella stanza piena di palline di plastica colorate (conosciamo delle mamme che ci vanno apposta dandosi appuntamento con le amiche); poi inizia il giro: nel percorso obbligato si vedono coppie che discutono a bassa voce e con il metro in mano; comprino o no l'armadio o il divano, uscendo riempiranno il carrello di oggetti assolutamente necessari anche se fino a un minuto prima ignoravano di averne bisogno.
Ikea ogni anno si espande, con 90.000 dipendenti, 160 milioni di cataloghi in 52 edizioni e 25 lingue. Sono cifre impressionanti che spingono gli autori ad assumere in finale toni apocalittici: «Con questo ritmo nel 2050 tutto il pianeta sarà inginocchiato davanti al corpo inerte di un mobile da montare, una chiave Allen in una mano e le istruzioni di montaggio nell'altra». Soddisfatto della lettura sistemo il libro sullo scaffale di una delle 16 librerie Billy sparse per casa.




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